Una start up veneziana rivolta ai nomadi digitali e remote workers di tutto il mondo
Sono Luca, 27 anni, co-founder di Venywhere e co-founder della (quasi) startup Cultibrid. Per lavoro co-gestisco queste due bellissime realtà, occupandomi principalmente di marketing, operations e business development.
Attualmente vivo a San Donà di Piave (Venezia).
Venywhere è una neo-piattaforma veneziana che facilita pre-arrivo, onboarding e permanenza di remote workers e nomadi digitali a Venezia.
Oltre al supporto per la ricerca dell’alloggio, Venywhere aiuta:
- Nel pre-arrivo, con una guida di “soft landing” e assistenza dedicata
- Nell’onboarding, con eventi in loco e attività di networking
- Nella permanenza in città, con corsi, attività tradizionali e spazi di coworking a cui stiamo lavorando.
Quale è stato il tuo percorso di studi?
Anni e anni di marketing! Sono diplomato e laureato in questo (più una una laurea triennale in Economia), ma non si smette mai di imparare. Cerco di ritagliarmi del tempo ogni giorno per formazione personale, spostandomi sempre più su tematiche imprenditoriali, finanziarie, di leadership e chiaramente di lean startup. Magari un master prima o poi se il lavoro me lo permette.
Hai da poco fondato Venywhere, startup rivolta ai nomadi digitali. Cosa ti ha spinto a farlo?
Premetto che il vero ideatore di Venywhere non sono io ma uno dei miei soci, prof. Massimo Warglien dell’Università Ca’Foscari di Venezia. Io ho contribuito a plasmare questo progetto e insieme ad altri 3 soci sta finalmente prendendo forma.
Venywhere mi ha convinto fin da subito per 3 motivi:
- Nasce come progetto per contrastare lo spopolamento di Venezia (drammatico negli ultimi decenni) grazie all’introduzione in città di “cittadini temporanei” (nomadi e remote workers). Una mission sociale e sostenibile unita ad una vision ambiziosa: esportare questo modello alle città italiane che hanno più sofferto gli effetti della pandemia.
- Il mondo del nomadismo mi ha sempre colpito e interessato. Questo progetto mi avrebbe permesso di studiarlo a fondo, conoscere molti nomadi digitali e costruire una struttura aziendale flessibile che mi permettesse di lavorare in modo ibrido e sperimentare il mio “nomadismo personale”.
- Volevo iniziare il mio percorso nel mondo startup ed è caduto proprio nel momento giusto della mia vita lavorativa.
Quali sono stati i primi passi che hai seguito per poter dare vita a questo progetto?
Direi due parole: network e survey.
Venywhere è un progetto inevitabilmente intersecato con molte dinamiche cittadine. È stato quindi fondamentale creare da subito una rete di partner e potenziali interlocutori tra istituzioni, associazioni, aziende private e artigiani locali. Abbiamo anche puntato in alto, stringendo una collaborazione con Cisco Systems e avviando con loro un primo test: 16 dipendenti dal Sud Europa ospitati per 3 mesi a Venezia.
Una buona rete di collaboratori è un ottimo strumento per credibilità, autorevolezza e sostegno nello sviluppo dei servizi.
Lo studio del fenomeno del nomadismo e del remote working è stato un secondo tassello importante. Così ho passato mesi e mesi a conoscere i digital nomads, comprendere lo stile di vita, i benefici e i limiti di questa scelta, le ambizioni , i “must have” per scegliere un luogo e le difficoltà incontrate. Insieme ai colleghi ho lanciato alcune survey che hanno permesso di aggiustare il tiro, ricevere feedback utili, raccogliere i primi contatti interessati e finire su qualche articolo di giornale.
Quali sono state le maggiori difficoltà che hai incontrato lungo il percorso?
Il progetto è partito a inizio estate 2021. Inizialmente il protrarsi della pandemia ha causato ritardi sia dal lato delle offerte cittadine sia dal lato utenti. Molti paesi all’epoca erano ancora in lockdown; si capiva che c’era interesse ma le persone non potevano spostarsi o ancora non si fidavano a farlo.
Altra difficoltà, e forse la più ostica, è stata la necessità di far veicolare il giusto messaggio di cosa fosse realmente Venywhere. Quando si lavora in simbiosi con una città, gli interlocutori si moltiplicano e bisogna porre attenzione anche all’opinione pubblica, all’amministrazione e alle tante organizzazioni cittadine. Essere mal interpretati o troppo idealizzati può rappresentare un bel problema e il concetto di nomade digitale è purtroppo ancora poco compreso.
Venywhere cerca di attirare nomadi digitali a Venezia. Cosa può offrire questa città a coloro che vogliono lavorare da remoto?
Venezia è particolare anche sotto l’aspetto del remote working. Cerchiamo di esaltare quel lato della città più lontano dai preconcetti del turismo di massa e alternativo al classico cibo tipico, il tour in gondola o il caffè a Piazza San Marco.
Da una survey lanciata su oltre 500 remote workers abbiamo compreso che la potenzialità di Venezia non è data dalle sue attrazioni turistiche/tipicità ma dalla sua complementarietà e sinergia con la giornata lavorativa di un remote worker. La città perde la caratteristica di destinazione e diventa il braccio destro del remote worker, un sostegno attivo per arricchirlo di ciò che non riesce o non ha tempo di avere.
“Ecco che il web developer si ritrova in un corso di mosaico antico dopo una giornata in un ex convento allestito a spazio di coworking. 15 minuti a piedi e si riunisce per aperitivo e cicchetti con colleghi developer e ricercatori per contribuire a un progetto online di sostenibilità urbana”.
Scegliere Venezia diventa un investimento su di sé, una ricerca di ispirazione, integrazione con la comunità locale e maggiore produttività nel proprio lavoro.
Ma Venezia è anche una 20-minute-city, un grande e compatto villaggio dove hai tutto ciò che ti serve nell’arco di 20 minuti a piedi. Non servono auto o lunghi tragitti in mezzi pubblici. Insieme a Cisco e altri partner cittadini, stiamo cercando di riconvertire gli spazi inutilizzati e sottoutilizzati per rendere Venezia una vera e propria città del lavoro ibrido.
Non si parla più di coworking ma di workspaces. Un’intera città come spazio di lavoro diffuso, tra aperto e chiuso, luoghi di network e luoghi di privacy, uffici dedicati e postazioni mobili. E tutto a un massimo di 20 minuti a piedi.
Chiaramente si tratta di un progetto ambizioso e a lungo termine. Al momento, sul lato coworking, Venezia non ha una grandissima disponibilità e varietà di spazi. Tuttavia ce ne sono di davvero unici. Il discorso cambia se si inizia a spostarsi per le isole della laguna. In primavera e estate sono ambienti fantastici per scrivere, progettare e ispirarsi in tranquillità.
Per i nomadi digitali, l’alloggio è sempre uno dei problemi più importanti. Venywhere aiuta nella ricerca dell’alloggio a Venezia?
Per il gruppo pilota che ospiteremo dall’autunno 2022 la risposta è sì, Venywhere offre un servizio di matching per aiutare nella ricerca dell’alloggio.
Abbiamo alcuni partner in campo immobiliare che ci danno accesso a residenze di tipo transitorio (dai 3 ai 18 mesi). Il valore per l’utente sta nell’evitare di perdersi in piattaforme di aggregazione e siti web di agenzie spesso poco chiari, mal tradotti e con offerte troppo volatili. Inoltre, per ogni proposta cerchiamo di allegare un tour a 360° della casa e della zona circostante, in modo da rendere più semplice la scelta all’utente.
Tuttavia, il settore immobiliare è molto delicato. Al termine di questo test capiremo se vale la pena mantenere questa offerta o se ridimensionare il nostro ruolo in questo campo. In ogni caso manterremo un certo livello di supporto; come giustamente dici, l’alloggio è una delle questioni più importanti e ardue per un nomade.
Dove si svolgono le tue giornate di lavoro? Frequenti coworking?
Direi che al momento sono un lavoratore ibrido e tutto dipende dalla mole e tipologia di lavoro che devo fare. Sono chiaramente spesso a Venezia per mansioni più di “pubbliche relazioni”. Lì abbiamo un piccolo ufficio ma ci piace sperimentare più posti possibile in città per lavorare.
Alcuni posti all’aperto, qualche coworking, qualche posto per studenti e qualche isola in mezzo alla laguna.
Purtroppo passo molto tempo a casa, soprattutto quando il lavoro è parecchio e ho bisogno di concentrazione e comodità. Mi capita in alcuni periodi meno intensi di spostarmi per qualche giorno/settimana in giro per il nord-est italiano, magari Bologna, Padova, Milano.
La parte più bella del mio lavoro in realtà la sto vivendo con la mia seconda startup. Trattandosi di contatti con imprese agricole, ci sono periodi che sono in giro per fattorie e agriturismi del triveneto..alcuni molto attrezzati per il coworking!
In futuro mi piacerebbe slegarmi di più dal territorio e raggiungere mete più lontane. L’idea del camper o del van mi solletica molto ma non so se fa per me.
Ci sono applicazioni/tool dedicate ai nomadi digitali che utilizzi?
Conosco un po’ di community interessanti ma non sono molto attivo perchè ho poco tempo e mi allontano raramente dal Nord Italia. Per quanto riguarda i tool di produttività ho praticamente Trello aperto 24 ore al giorno. In entrambe le startup usiamo Miro per attività di brainstorming/organizzazione del lavoro e Canva per lavorare a più mani da remoto su piccoli output grafici.
C’è una località per nomadi digitali fuori Europa, attualmente fuori dai radar, che ti ispira e pensi possa diventare un’ottima destinazione fra qualche anno?
Credendo nel concetto di Venywhere, sono a mia volta attratto da località che hanno molto da offrire sotto il profilo culturale, storico e di comunità locale.
Da anni mi piacerebbe un’esperienza consistente (almeno un anno) in Vietnam. Se non sbaglio Ho Chi Minh è già nei radar di alcuni nomadi digitali e credo che città del genere potrebbero crescere molto sotto questo profilo. In generale il Sud Est asiatico, anche per mia preferenza personale, penso possa avere molto potenziale come destinazione.
Poi c’è il discorso interessante dei borghi. Spero che in futuro, a fianco alla crescita delle zone in via di sviluppo (anche il Sudamerica ad esempio) si arrivi ad un’inversione di tendenza. Sarebbe bello vedere i paesi più sviluppati e tradizionalmente “esportatori” di nomadi digitali, fare leva sui propri territori e sulle proprie campagne per attirare dentro i confini un pubblico del genere.
Pensi che lo stile di vita dei nomadi digitali possa essere adatto a tutti o è solo per tipi specifici di persone?
Credo che non sia per tutti. Con la pandemia, a mio parere, si è fatta strada una credenza sbagliata. Si pensa spesso che questa alternativa al lavoro di 8 ore in ufficio sia la soluzione a tutti i mali. Ci sono senza dubbio lati positivi ma anche negativi.
Ho sentito veramente di tutto. C’è chi finisce per sentirsi solo, frustrato, alienato o ha talmente tante distrazioni da perdere produttività al lavoro.
C’è chi lo vive in maniera talmente frenetica da finire più stressato che con un lavoro d’ufficio.
C’è chi dopo un pò sente la mancanza dei colleghi.
Per essere nomade digitale e vivere questo stile di vita al massimo bisogna avere mentalità e carattere giusto. Bisogna saper separare nettamente lavoro da tempo libero, mantenendoli equilibrati. Bisogna avere spirito di avventura, saper accontentarsi, essere curiosi e superare le proprie barriere.
Credo che questa bolla che stiamo vivendo prima o poi esploderà e sarà un bene. Il nomadismo diventerà uno stile meno mainstream ma più profondo e consapevole, una scelta di vita più calibrata e meno impulsiva. D’altra parte credo e spero si andrà affermando sempre di più uno stile “ibrido”, dove le persone potranno alternare in modo flessibile giornate in ufficio a giornate da remoto in località diverse o semplicemente traslare da ufficio a casa, a spazio di coworking con naturalezza.
io sto studiando mi sto interessando da un po a una materia come social media manager ma sto guardando ad altre professioni digitali, passo diverse volte per san dona di piave, possibile discuterne con qualcuno di voi personalmente in qualche luogo adeguato tipo la biblioteca civica di san dona di piave?
Ciao Andrea, ti consiglio di scrivere direttamente a Luca attraverso la loro pagina web o pagina Facebook! 😉