Emanuela – Dimensione avventura
Ho 36 anni, sono in viaggio da 14 anni in giro per il mondo. In questi anni on the road, ho vissuto in svariati paesi, tipo Norvegia (2 volte, sia a Bergen che Oslo), Scozia, Danimarca, Inghilterra, Olanda, Australia, Messico, Groenlandia e Islanda e visitato forse più di 100 paesi al mondo, ma non so dirti di preciso perché non li conto questi dettagli e non viaggio per accumulare numeri.
Nel 2013 ho partecipato alla prima spedizione al mondo via terra dall’Islanda al Sud Africa. Su un camion da guerra riadattato, insieme ad altri 16 pazzi, siamo partiti da Reykjavik a gennaio attraversando prima tutta l’Europa e poi tutta la costa occidentale dell’Africa per sette mesi, fino a Città del Capo. 22000 km di avventura e libertà, in cui solo in 11 siamo riusciti ad arrivare alla fine (gli altri hanno mollato per strada e si sono ritirati). Al ritorno da quel viaggio mi sono trasferita in Islanda.
Nel 2015, dopo aver svernato ai Caraibi, tra Messico, Cuba e Giamaica, ho vissuto una estate in un piccolo villaggio di Inuit in Groenlandia, nel posto più bello e assurdo del mondo, a contatto con questo popolo che tanto ha da insegnarci, aprendo il cuore alla bellezza senza fine del nostro amato pianeta Terra.
Al momento sono rientrata per qualche mese in Italia, dopo aver trascorso la scorsa estate a Isafjordur, un paesino sperduto nei fiordi occidentali dell’Islanda, e conto di rimanere in patria fino a fine mese, prima di ripartire alla ricerca del sole.
14 anni in giro per il mondo. Cosa ti ha spinto a lasciare l’Italia la prima volta?
La mia smisurata curiosità di andare a vedere che cosa c’era lì fuori. Era come un’ossessione. Fin da quando ero adolescente, la cosa che desideravo di più al mondo era di poterlo andare a scoprire, di imparare le sue lingue e i suoi linguaggi segreti, di incontrare popoli antichi e trovarmi di fronte ai suoi capolavori della natura, di conoscere genti e paesi lontani, assaporarne l’essenza e farne parte.
Ancora oggi, ogni qual volta mi ritrovo da qualche parte nel mondo che mi ricorda uno dei miei sogni ad occhi aperti o una foto vista e rivista sui libri di storia e geografia, mi emoziono fino alle lacrime perché i sogni di quella adolescente sono diventati la mia stupenda realtà.
Qual è stato il primo paese straniero in cui hai vissuto e perché l’hai scelto?
E’ stata la Norvegia, nel lontano 2002. A quel tempo studiavo norvegese all’università (mi sono poi laureata in lingue scandinave) e avevo vinto una borsa di studio all’università di Bergen.
L’estate a Bergen e tra i fiordi norvegesi è stata talmente entusiasmante che al ritorno, dopo aver ricevuto la notizia di aver vinto anche l’Erasmus, sono ritornata in Norvegia per altri sei mesi, questa volta per Oslo, che si sono poi conclusi con l’interrail fino alle isole Lofoten.
Lì sono stata ufficialmente presa dal “travel bug” e da allora non mi sono mai più ripresa. ☺
Tra i tutti i paesi in cui hai vissuto, quale ti è rimasto più nel cuore e quale invece non hai realmente sentito come tuo?
Ogni paese che vai ti lascia qualcosa nel cuore per sempre. Ci sono paesi a cui resti affezionata di più, magari per le persone, o per le avventure vissute. Ma non mi è mai capitato di non sentire un paese come mio. Se non lo sento mio, se non mi chiama, non ci vado e basta. E’ per questo che quando vado in un nuovo paese ascolto molto il mio cuore e devo dire che finora non mi ha mai deluso.
Di tutti i posti visitati, quello che mi è rimasto di più nel cuore è forse la Patagonia, che, nonostante la sua lontananza geografica e logistica, ha saputo abbracciarmi e toccarmi l’anima. Quello in Patagonia in inverno è stato uno dei viaggi in solitaria più bello che abbia mai fatto. Lasciare Buenos Aires con 30 gradi e giungere a Ushuaia sotto la neve dopo 12 giorni e chilometri e chilometri di pampas infinita da sola nei pullman vuoti (ero letteralmente dal sola con gli autisti) mi hanno insegnato la pazienza e l’amore per la vita che mi sono scelta.
Ushuaia, poi, è uno di quei posti che ti entra nell’anima. La chiamano la Fine del mondo, perché lì, sulle sue sponde, un intero universo finisce. Le Ande, che ti accompagnano per tutto il viaggio, vanno lì a morire nel mare, così come la “carrettera”, la strada, che fin lì ti ha condotto per mano, e il tuo stesso viaggio, che si completa alla fine di quella strada e che oltre, logisticamente parlando, non può proseguire.
E poi la gente che si incontra ai confine del mondo non è gente normale. Oltre ai tipici backpackers che si incontrano ovunque, ci sono veri viaggiatori che giungono fin lì con una storia da raccontare, come la signora brasiliana che era nel mio ostello e che, a 69 anni per la prima volta nella sua vita, aveva lasciato casa e figli per farsi un viaggio da sola e realizzare il suo sogno, quello di vedere la neve per la prima volta, o come Chris, il pazzo cinquantenne americano che dal New Mexico in America aveva attraversato tutto il continente sudamericano in moto per venire a donare al vento dei confine del mondo le ceneri del padre, morto qualche mese prima.
La chiamano La Fine del Mondo ma in realtà io ho sempre avuto l’impressione che quel posto, del mondo, in realtà ne sia proprio l’inizio.
Hai preso parte ad un’avventura “assurda”, quella di partecipare alla prima spedizione via terra, dall’Islanda al Sud Africa.
Cosa ti ha spinto a salire a bordo?
La voglia di mollare definitivamente la comfort zone e iniziare a vivere a modo mio, assecondando la mia natura viaggiatrice, e poi l’Africa, che, se si va in giro per il mondo, ad un certo punto urla il tuo nome. Qualcuno dopo quel viaggio mi chiama ancora “Manu, dimensione avventura”!
A quei tempi vivevo ad Amsterdam. Ricordo di aver visto l’annuncio online di un tipo che chiedeva se volessi andare per sei mesi in un viaggio unico dall’Islanda al Sud Africa, per 22000 km su un camion da guerra, attraverso 23 paesi che forse mai avrei altrimenti conosciuto nella vita ( e non parlo di visitare, ma di conoscere, che è ben diverso) attraverso tutta la costa occidentale del continente nero, quella che un anno dopo si è beccata l’ebola per parlarci chiaro, e a quelle parole, che potrebbero spaventare molti, la mia risposta è stata un immediato SI.
Ho saltellato dalla felicità nella cucina di casa per una buona mezzora. Ho aspettato un giorno e quando ho visto che quel pensiero continuava a farmi sorridere, ho scritto al tipo e mi sono assicurata il mio posto per l’avventura più bella della mia vita.
Durante i 7 mesi di viaggio hai mai avuto momenti di sconforto o il desiderio di tornare a casa?
Mai. Addirittura, a fine viaggio volevo restare a vivere in Sud Africa per un paio di anni, se non fosse stato per la nascita del mio nipotino, l’unico che sia stato in grado di farmi ritornare a casa.
Raccontaci della Groenlandia. Cosa facevi in un villaggio inuit? Ma soprattutto, chi sono gli “inuit”?
Ho vissuto in Groenlandia nell’estate del 2016 per 4 mesi, in un piccolo insediamento Inuit di 180 abitanti sulla costa orientale del paese. Molti avevano criticato la mia scelta ma la mia curiosità per quel posto alla fine del mondo (io adoro la fine del mondo, per chi non l’abbia capito!) che avevo sempre sognato di vedere aveva, alla fine, avuto la meglio.
Ricordo ancora il mio primo giorno nel villaggio quando mi sono ritrovata di fronte per la prima volta nella vita un Inuit, un eschimese, come volgarmente li definiamo da quaggiù. La sua pelle rugosa, i suoi occhi piccoli, il sorriso lontano e l’impossibilità di comunicare me lo facevano apparire quasi come un alieno. Ero emozionata nel trovarmi di fronte un essere umano così antico e ricordo che la prima cosa a cui avevo pensato, era che sarebbe stato davvero difficile riuscire a conoscere e comunicare con quella gente. Invece mi sbagliavo di brutto.
Quelle persone stupende piano piano sono entrate nella mia vita e, con i loro timidi sorrisi e la loro gentilezza ogni volta che non riuscivamo a comprenderci (il che accadeva ogni giorno visto che spesso non parlavano né inglese né danese), hanno iniziato a farmi diventare parte di quel luogo e della loro comunità. Pian piano ho iniziato a comunicare, a capirli, a scoprirli, ad ammirare con occhi nuovi la meraviglia del posto in cui vivono, a conoscere le loro storie, i loro miti ancestrali, le loro tradizioni, la loro musica, il loro cibo, la loro anima. Dopo qualche settimana che vivevo lì ero diventata una di loro.
Per strada mi salutavano e mi venivano incontro cercando di parlarmi. Alcuni di loro sono diventati veri amici, mi hanno insegnato le loro canzoni, sono stata ospite nelle loro case, abbiamo parlato dell’universo e di Dio, abbiamo esplorato paesaggi mozzafiato e cantato sotto le stelle insieme mentre ammiravamo la più bella aurora boreale della mia vita.
Quando sono andata via da quel posto e ho visto il villaggio scomparire tra le nuvole sotto di me, ho provato una sensazione stranissima, come di aver vissuto un sogno, nel posto più bello del mondo.
Quanti tipi di lavori diversi hai fatto in questi anni?
Ho lavorato soprattutto negli hotel, come receptionist e supervisor, ad Amsterdam ho lavorato anche in un ufficio di un famoso marchio di jeans, e l’estate scorsa con un tour operator.
Di solito vado in un posto e se voglio rimanerci cerco un lavoro. Nel turismo si trova sempre.
Io se ho bisogno di soldi vado diritta dove il lavoro si trova e dove i soldi non mancano, tipo Islanda o paesi nordici, posti in cui oltre a farti l’esperienza puoi anche lavorare, guadagnare e non preoccuparti di visti vari (problema presente in altri paesi).
Invece, posti come il Sud America, ad esempio, non convengono per lavorare. pagano poco, si lavora tanto ed è tutto in nero.
Tu che hai viaggiato tantissimo, che consiglio daresti a chi sogna di partire ma non ha ancora avuto il coraggio di farlo?
Di non aspettare il momento migliore per iniziare a viaggiare, perché quello non arriverà mai. Si sarà sempre “troppo occupati” per lasciare tutto. Non si avranno mai “soldi abbastanza” per poter partire. E diciamoci la verità, queste sono tutte scuse per nascondere la paura. Il mio consiglio è di chiudere gli occhi e cliccare su quel pulsante, comprare quel biglietto, prendere quel treno per la prossima avventura.
E’ solo il tempo di un click, poi l’unica cosa che resta da fare è partire.
Dimmi perché credi che sia importante viaggiare
Perché restare tutta la vita nello stesso posto è da matti. O da alberi. E noi, a questo giro, non siamo nati con le radici.
Mi hai affascinato…..bravissima……se il prossimo annuncio di viaggio lo fai tu…..fammelo sapere…..
Ciao Emanuela,
la tua storia mi ha colpito tantissimo. Mi piacerebbe sapere di più su come hai potuto lavorare in giro per il mondo e come hai potuto sostenerti economicamente. Mi piacerebbe tanto affrontare qualche anno e visitare il numero maggiore possibile di paesi al mondo.
Ciao Marco, ti consiglio di scrivere a Emanuela, direttamente attraverso il suo blog! 😉